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La Cultura del Bello

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Ph. © S. Cilea

La Cultura del Bello

 
Parliamo di Bellezza quando godiamo qualcosa per quello che è, indipendentemente dal fatto che lo possediamo. È bello qualcosa che, se fosse nostro, ne saremmo felici, ma che rimane tale anche se appartiene a qualcun altro.
Umberto Eco, Storia della Bellezza, Bompiani
 
Il lembo sudorientale della Sicilia è un’ininterrotta sequenza di promontori, baie, spiagge, piccole isole e scogliere. Zone umide e pantani si prosciugano in pianure e campagne rigate da fiumi e fiumare (cave), che si insinuano tra boscaglie e montagne di pietra dove i paleolitici cercavano risposta al loro senso del fare, del vivere e del morire. Con la pietra e nella pietra degli Iblei tagliavano, scavavano e incidevano; di pietra erano le tombe dei morti, gli attrezzi e le armi dei vivi; più tardi, di pietra furono le città, i templi, i teatri, le statue. Ancora oggi da Siracusa a Buccheri, da Noto a Palazzolo Acreide si sente il respiro potente della pietra giuggiulena e dei calcari degli Iblei, ancora chiari e luminosi sotto la scorza dei millenni.
Questo ostinato racconto di pietra si snoda tra panorami aspri e selvaggi che fanno da contraltare a una scioccante mescolanza di stili architettonici e sviluppi urbanistici in un unicum di inestimabile valore. Ortigia e la Neapolis sono tra i primi poli di attrazione del turismo culturale in Sicilia, mete ambite da generazioni di viaggiatori, di artisti e letterati da tutto il mondo. Non lo è di meno Noto, città-gioiello del Barocco siciliano, edificata nel Settecento dopo che un immane terremoto la rase al suolo uccidendo in massa gli abitanti. L’eredità culturale siracusana è fatta anche di territori meno noti ai più ma non per questo meno importanti. Tra i tanti ecco Pantalica, Thapsos, Mégara Hyblaea e Akrai, siti impregnati di storia, riemersi dal buio dei millenni grazie ai più importanti archeologi italiani che lì hanno riscritto la storia degli albori delle civiltà Mediterranee.
 
Siracusa fu davvero, come riferisce Pindaro, “la più grande delle città”, sia sotto i suoi antichi tiranni-mecenati (più spesso autorevoli che dispotici) sia quando fu, seppure per poco, capitale bizantina dell’Impero dei Romani. Molto di ciò che è andato perduto di quella grandezza non si deve all’inclemenza dei secoli e del clima ma all’azione dell’uomo, alla sua ansia di revocare una memoria che giudicava inadeguata alla sua “modernità”. Così fecero Romani, Goti, Longobardi, Bizantini, Svevi e Aragonesi e non si risparmiarono nemmeno gli stessi Siracusani tra l’Otto e il Novecento, quando crearono in città fratture urbanistiche scriteriate e insanabili. Incapaci di pensare a un’espansione del perimetro urbano in una zona lontana dai monumenti antichi, scelsero a più riprese di mortificare Siracusa con l’asfalto e il cemento, di abbattere chiese e palazzi medievali e rinascimentali, di cancellare piazze, bastioni, porte monumentali, fortezze. Enorme è stato il danno paesaggistico e ambientale perpetrato nel secondo dopoguerra a nord di Siracusa. Tra Augusta (l’antichissima Mégara Hyblaea), la Marina di Melilli e Priolo Gargallo (la preistorica Thapsos) si insediò il più grande polo petrolchimico del Mediterraneo, col risultato di appestare l’aria, avvelenare il suolo, inquinare le falde acquifere e assassinare il mare e la costa.
A questo flagello ambientale, paesaggistico, sanitario e sociale si aggiunge anche lo sfregio al patrimonio storico e archeologico poiché quell’enorme distesa di asfalto e cemento, capannoni, impianti, torri di raffinazione, ciminiere, petroldotti, banchine e migliaia di chilometri di tubature, ha fagocitato alcuni tra i più antichi insediamenti protostorici del Mediterraneo. Ridare dignità e vivibilità a questo tratto di costa è un’operazione immane, iniziata solo da qualche decennio con risultati incoraggianti. Non si contano le denunce e le azioni giudiziarie contro le raffinerie, i sequestri di impianti che pure rappresentano un comparto strategico dell’industria nazionale. Qui dall’anno 2000 è stata creata la Riserva Naturale Orientata Saline di Priolo che tutela 55 ettari della fascia costiera che fu l’approdo dei primi navigatori greci e che incantò poeti come Virgilio, Ovidio e Tucidide. Questa, assieme ad altre dodici riserve naturali e aree di interesse naturalistico fanno di Siracusa la provincia siciliana con il maggior numero di aree protette. Questo è il frutto di un nuovo concetto di “sostenibilità”, che non si riferisce più allo sviluppo economico e alla crescita finanziaria di una collettività ma che riguarda gli ambienti fisici, sociali e culturali nei quali soddisfare i nostri bisogni e aspirazioni senza compromettere il futuro delle generazioni che verranno.
Scritto da Sergio G. Grasso, febbraio 2021
 
SERGIO G. GRASSO

Da giovane, doppiava per il cinema attori del calibro di Orson Welles e Jeff Goldblum. Autore e conduttore televisivo, ha lavorato a programmi Rai come Unomattina, Lineaverde e La prova del cuoco. È docente di Antropologia dell’alimentazione, food-writer, cultore e divulgatore di storia sociale del cibo, curatore di eventi gastronomici legati alle rappresentazioni del cibo nell’arte. Scrive e fa parte della direzione editoriale di SiracusaCulture.