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Crowned Idols

Io sono Acqua
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Livia Gionfrida
Aprile 1, 2022
Ph. Maria Pia Ballarino

Joana Vasconcelos incorona l’Idolo Cicladico

Al Museo Paolo Orsi

 
Crowned Idols – Idoli Incoronati è l’installazione incredibilmente suggestiva della portoghese Joana Vasconcelos, una delle più autorevoli artiste al mondo - tanto da essere chiamata a progettare decine di mostre museali l’anno – e apprezzata per le sue installazioni di grandi dimensioni, realizzate con i più svariati materiali.
Curata da Demetrio Paparoni per la parte artistica e da Anita Crispino per quella archeologica, è allestita fino al 26 Luglio 2022 nella sala mostre del Museo Archeologico Paolo Orsi di Siracusa, organizzata dal Parco archeologico e paesaggistico di Siracusa, Eloro, Villa del Tellaro e Akrai. E se è vero – come scrive Demetrio Paparoni – che “le installazioni di Joana Vasconcelos nascono tenendo conto della storia del luogo che le ospita e della capacità che lo spazio che le accoglie ha di amplificare il significato incarnato”, tali peculiarità permangono anche nel caso in cui, come questa volta, non si tratti di un’opera site specific, ma di un adattamento di un’installazione precedentemente concepita, ovvero Crown, quella stessa “corona” realizzata per la mostra di Londra del 2012, in occasione delle celebrazioni per il 60° anniversario dell’incoronazione di Elisabetta II.
Ph. Maria Pia Ballarino
 
Ad essere incoronata, questa volta, è una scultura di quasi 5.000 anni fa, un Idolo proveniente dal Museo di Arte Cicladica di Atene, la cui temporanea collocazione nel nostro Museo è il frutto di uno scambio che ha visto dapprima pervenire ad Atene, da parte della Regione Siciliana, il Busto di Lentini e la Testa Biscari, finalmente ricongiunti nel Kouros originale dopo circa 2.500 anni dalla sua genesi.
Ritengo che l’informazione e il contributo più rilevanti, fra quelli che io possa riportare riguardo a questa installazione, derivi dalla mia reazione alla vista di essa, che è stata di incanto e struggimento assoluti, espressisi poi in vera e propria commozione nel parlarne con l’artista, che ha peraltro mostrato profonda empatia rispetto al mio sentimento. La mia fruizione personale è cominciata dall’alto, dalla grande opera colorata, fatta di stoffe variegate e ricami preziosi, che occupa lo spazio dell’intera sala e che si sviluppa – appunto - dall’alto verso il basso e dal centro verso l’esterno, partendo da un nucleo fatto di drappi e pizzi dorati, come fosse l’aereo ceppo di un albero con le sue radici. Appena sotto tale ceppo, una teca contenente l’Idolo Cicladico, una scultura femminile in marmo bianco di circa 60 cm, dalle forme essenziali, quasi geometriche, la superficie levigata, l’incredibile simmetria, la compostezza che si risolve in fissità, la sintetica compattezza criptica e impenetrabile in grado di turbare lo spettatore, quasi pungendolo nel suo punto più profondo. La morbidezza delle immense forme dai colori vividi della corona e la durezza spigolosa del piccolo idolo presentano fin da subito un contrasto materico e cromatico che tuttavia non disturba in alcun modo, anzi spinge a cercare un legame tra le due presenze, entrambe fortemente intrise di carica energetica e spiritualità.
Ph.Germana Gallitto
Ph.Maria Pia Ballarino
 
Gli elementi dell’opera di Vasconcelos che si dipartono dal centro, poi, trovano arrivo tutt’attorno in vetrine che delimitano il perimetro dello spazio espositivo e che contengono altri reperti archeologici del Museo, sculture e pitture che vanno dal III sec. a. C. al XIII d. C., per lo più offerenti o divinità celebranti il femminino e “qui ricollocati a sottolinearne il valore simbolico e a contenerne l’energia”, afferma Anita Crispino, archeologa del Museo. A tutto ciò si coniuga l’emozionante contributo sonoro di Jane Winther, Mantra, che accompagna la fruizione della mostra, esaltando la valenza spirituale di ciascun elemento e guidando il visitatore in un magico percorso come all’interno del Creato, in cui l’antico si attualizza e dialoga con il contemporaneo, questo si spoglia della caducità del presente e ciascuno si trovi in quel luogo incantato sembra godere di un tempo senza tempo.
L’installazione costituisce, dunque, un punto di raccordo fra gli immobili e silenziosi simboli di tutto quanto rimandi alla natura femminile nella storia delle civiltà: essa è a un tempo tutti i ruoli, gli stili, i modelli, le scelte, le vesti che la donna ha dovuto adottare nella storia in virtù delle necessità o delle attese sociali; generare, nutrire, accudire, guidare, sposare, obbedire, decidere, sostenere, sostentare, produrre; tutto ciò ricorrendo alla moltitudine di peculiarità innate o apprese, ma necessarie per trovare il propellente alle azioni di ogni giorno e per riuscire a rigenerarsi, a risollevarsi, a reinventarsi, quali la fede, l’energia, l’adattamento, la disciplina, il desiderio, la fantasia, e – sempre, più d’ogni altra cosa - l’amore.
Ph. Maria Pia Ballarino

 
Nel corso della presentazione tenutasi nella giornata inaugurale e a cui ho avuto modo di assistere, ciascuno dei conferenzieri – l’artista Joana Vasconcelos, i curatori Demetrio Paparoni e Anita Crispino, il Direttore del Parco Archeologico di Siracusa Carlo Staffile, l’Assessore regionale dei Beni Culturali Alberto Samonà – è convenuto, oltre che nel riconoscere la potente carica spirituale della mostra, nell’affermare altresì di aver avuto la netta sensazione – abbracciando questo progetto espositivo – di aver risposto ad una “chiamata”, un piccolo miracolo avvenuto in soli due mesi grazie all’incontro delle tante sensibilità che hanno contribuito ad allestire un simile concentrato di elementi, in grado di celebrare il femminino e di farlo proprio in un luogo tanto vicino al Santuario della Madonna delle Lacrime, altro tempio eretto in nome di un idolo che è anch’esso archetipo e nuncius di speranza e amore. In merito a ciò, la stessa Vasconcelos ha espressamente invitato gli astanti a intendere tale vicinanza fra la mostra e il santuario quale “flow (flusso) collettivo di amore, luce e pace”; ha poi aggiunto che, apprendendo il fatto che l’idolo cicladico avesse circa cinquemila anni di vita, si è chiesta se la sua opera potesse mai sopravvivere per così lungo tempo e ha inteso questa mostra come la tanto agognata occasione di eternità a cui, artisti e non, tutti noi aneliamo.
Personalmente, tuttavia, l’impressione più suggestiva di questa installazione è quella che ho appreso chiacchierando con il professore Giuseppe Voza, Soprintendente dei beni culturali a Siracusa fino al 2004, oggi Soprintendente emerito e Direttore onorario del Museo Paolo Orsi. Archeologo di fama, uomo di cultura illuminato e coraggioso, già negli anni Ottanta del secolo scorso cavalcò un avanguardistico progetto di Demetrio Paparoni: in esso arte antica e contemporanea erano parimenti attori e ne prese vita un’incredibile mostra, in cui le opere di un giovane Omar Galliani dialogavano con la marmorea Venere Landolina. Alla mia domanda riguardo a quali pensieri o sensazioni fossero scaturiti in lui dalla fruizione dell’opera di Vasconcelos, la sua risposta è stata: “Ho l’impressione, guardando questa scultura cicladica così severa, con le braccia conserte, richiusa su sé stessa come se fosse stata sul punto di implodere per millenni, che l’opera di Joana Vasconcelos sia finalmente riuscita a liberarla, a scioglierle i nodi delle braccia e ad aprirla all’Universo, cosicché l’implosione è diventata energica esplosione”.
Ph. Maria Pia Ballarino
Solitario, 2018, installazione Porto, Portogallo Ph. © Luis Vasconcelos, Atelier Joana Vasconcelos
 
Immagini su gentile concessione del Parco Archeologico di Siracusa, Eloro, villa del Tellaro e Akrai
 
ELEONORA AIMONE

Ama l’Arte Concettuale, la Linguistica, la Filosofia e tutto quanto metta in moto il pensiero. Ha collaborato con gallerie di Arte Contemporanea e Arte Fotografica a Milano, scritto per riviste di settore, curato eventi e rassegne in Sicilia. Insegna Storia dell'Arte e, di tanto in tanto, continua a curare mostre d’Arte Contemporanea