Gli elementi dell’opera di Vasconcelos che si dipartono dal centro, poi, trovano arrivo tutt’attorno in vetrine che delimitano il perimetro dello spazio espositivo e che contengono altri reperti archeologici del Museo, sculture e pitture che vanno dal III sec. a. C. al XIII d. C., per lo più offerenti o divinità celebranti il femminino e “qui ricollocati a sottolinearne il valore simbolico e a contenerne l’energia”, afferma Anita Crispino, archeologa del Museo. A tutto ciò si coniuga l’emozionante contributo sonoro di Jane Winther, Mantra, che accompagna la fruizione della mostra, esaltando la valenza spirituale di ciascun elemento e guidando il visitatore in un magico percorso come all’interno del Creato, in cui l’antico si attualizza e dialoga con il contemporaneo, questo si spoglia della caducità del presente e ciascuno si trovi in quel luogo incantato sembra godere di un tempo senza tempo.
L’installazione costituisce, dunque, un punto di raccordo fra gli immobili e silenziosi simboli di tutto quanto rimandi alla natura femminile nella storia delle civiltà: essa è a un tempo tutti i ruoli, gli stili, i modelli, le scelte, le vesti che la donna ha dovuto adottare nella storia in virtù delle necessità o delle attese sociali; generare, nutrire, accudire, guidare, sposare, obbedire, decidere, sostenere, sostentare, produrre; tutto ciò ricorrendo alla moltitudine di peculiarità innate o apprese, ma necessarie per trovare il propellente alle azioni di ogni giorno e per riuscire a rigenerarsi, a risollevarsi, a reinventarsi, quali la fede, l’energia, l’adattamento, la disciplina, il desiderio, la fantasia, e – sempre, più d’ogni altra cosa - l’amore.