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Palazzolo Acreide

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Casa Museo A.Uccello Palazzolo Acreide © Regione Siciliana ph. Antonio Gerbino

Palazzolo Acreide

Antonino Uccello e Antonello da Messina

 
C’era una volta un uomo leggero e sottile come uno stelo, un arbusto, un uccello, e per l’appunto Antonino Uccello si chiamava, come a dire c’era un (in nomine) omen, un presagio, nel nome il destino, che nel volto, nel profilo acuto un uccello poteva sembrare, di quelli all’apparenza fragili, ma che poi li vedi in volo e sono taglienti nell’aria come le saette ma che soprattutto, ed è questa la cosa più straordinaria di tutte, sapeva volare per davvero. Volava il suo pensiero, volava la sua scrittura, volava la sua casa attorno a lui, di “Icaro” infatti l’aveva chiamata, pensando forse al paio d’ali di cera, segrete, che certamente usava quando nessuno lo poteva vedere. Casa-Museo, aveva allora chiamato quella casa, di memoria e di ricordo: casa dove la Sicilia contadina ritornava ad essere quella di Calpurnio Siculo e di Teocrito, dove sicuramente le Muse, liberate da ogni erudizione e retorica, intessevano con lui, non fauno, ma silvestre, alata creatura, armoniose solari danze, al suono del flauto e della zampogna. Quella era una casa, ma essendo abitata anche dalle Muse, era un Mouseion, luogo di incantata religiosità in cui si celebrava il susseguirsi delle stagioni, il tempo del corpo e dello spirito, le Opere e i Giorni.
Casa Museo A.Uccello Palazzolo Acreide © Regione Siciliana ph. Antonio Gerbino
Casa Museo A.Uccello Palazzolo Acreide © Regione Siciliana ph. Antonio Gerbino

 
Là tutto aveva senso e significato, per cui la casa viveva una sua vita, parallela ai mesi, al sole torrido, alle assordanti cicale e poi all’ombra, al fresco di pioggia o di fonte, alla sorsata di quartara e poi ancora al freddo, alla pioggia, al vento e anche alla neve, perché anch’essa, straordinariamente, a quel tempo c’era! Quella casa, allora, pur non essendo degli Spiriti, comandava su quello che c’era da fare: oggi il forno abbruciato a puntino! e domani, pane e olio macinato di friscu, verde e denso, che è vero mangiare! E, a Pasqua e Natale, dolci da saziarsi di odore, di profumo di zucchero e farina, di frutta, matura matura, o asprigna e selvatica, resa cristiana dal miele.
Fra quelle mura si andavano depositando oggetti di antica, tradizionale sapienza, oggetti della casa e del lavoro contadino che, recuperati dal pifferaio magico, quell’Icaro padrone di casa, si andavano ricollocando, quasi per virtù e forze proprie, nei posti giusti e là sistemati riprendevano l’antica vita. Così era successo a figurine in terracotta, lampade, vasi e lumie, presepi ed orci, oleografie di poveri santi e frazzate e cuttunine di rusticani corredi: con gli oggetti si era andata a recuperare l’antica vita che loro apparteneva e che, ripreso quel fiato vitale, respirava armoniosa con la casa tutta.
Casa Museo A.Uccello Palazzolo Acreide © Regione Siciliana ph. Antonio Gerbino
Casa Museo A.Uccello Palazzolo Acreide © Regione Siciliana ph. Antonio Gerbino

 
Anche il canto si faceva sentire ed era di malinconia del carrettiere sulla pietraia, di amore sotto una finestra o di disperazione del carcerato.
Insomma una casa d’armonia, in sintonia con gli uomini e l’ambiente, con gli umori del tempo e dei padroni di casa e perché no anche degli ombrosi santi locali. Santi guerrieri e permalosi, in conflitto di preminenza fra loro, oculati nella protezione da concedere e quindi rigorosi del rispetto da pretendere nella pratica della devozione.
Ma nel grande respiro della casa c’era il posto giusto per tutto, nel tempo e nel modo naturale, come di un grande corpo di pietra vivente. E se viveva doveva per forza dar di conto al cibo, al mangiare, come si diceva, e allora la casa tremava di gioia, tutta protesa a sentire gli odori, ad accoglierli negli intonaci grigi, a filtrarli nelle mura spesse, nel liberarli poi da finestre e balconi, a diffondersi lieti per stradelle e scalette a dare grazia ai nasi fortunati, che annusando contenti potevano dire: è tempo di strattu oppure già si ficero i marmellati! o ancora sugo di maiali! Finiu a Quaresima!.
L’Icaro di Palazzolo tutto ascoltava compiaciuto, i commenti della strada, quelli dei paesani e quelli dei professori-dottori e anche le parole insieme agli oggetti e ai suoni si venivano componendo in un registro unico che era quello della Memoria. Una specie di sinfonia, canto corale in cui ognuno poteva riconoscere qualcosa, acchiappare un ricordo e tanti facendolo pensavano che era una bella cosa, una fortuna che gli capitava perché di tante cose non si ricordavano più.
E poi ad un tratto ecco che piano piano gli ritornavano alla mente, piano piano facce amate e perdute, abitudini belle e scomparse ritornavano alla mente e la bellezza del ricordo per un attimo li folgorava. E tutto questo era proprio bello, una gran pinsata di quell’uomo là, educato e sempre con la voce fina fina, un po’ stonante forse con tutte le domande che faceva. E come? e perché? e quando? ma con la testa di diamante e capace di fare regali così, a tutti quanti pari! Erano contenti i paesani di quel maestro così speciale, veramente un buon maestro, dei siciliani di razza, e questo lo capivano tutti, anche se ancora non sapevano che ci potevano essere anche i cattivi maestri. In quel posto, lui, col suo volo d’uccello, migrando dal sud al nord e poi ancora al sud, c’era capitato un po’ per caso e non si può dire che l’avesse scoperto, ma amato a primo colpo, questo sì!
Casa Museo A.Uccello Palazzolo Acreide © Regione Siciliana ph. Antonio Gerbino
Antonello da Messina, Annunciazione 1474 © Regione Siciliana – Galleria Palazzo Bellomo
Un paese dal nome di roccia, Akrai, paese di fortezze e di soldati, ma quanto bello e gentile! Non era stato certo un caso che Antonello da Messina avesse dipinto proprio per la Chiesa madre del paese la sua più bella Annunciazione, con la bionda Madonna dal volto gentile, stupefatta e compresa alle sconvolgenti parole dell'’angelo, prescrittive! Nel paesaggio di dolce inverno la fanciulla dagli occhi di quieta serenità accoglie il destino mentre intorno la vita è fissata nel suo quotidiano essere, i campi, il lavoro, gli arbusti, le acque.
L’immensità dell'annuncio, fissa gli attimi dello stupore: immobile il fiammeggiante angelo dall’aurea zazzera umbra, immobile lo sguardo mite della fanciulla, solo l’inarcarsi delle pagine candide del libro sul leggio tradisce incombente il Soffio del Divino. Questa committenza volle per la terra di Acrai, Palacioli, il “venerabilis dominus” Giuliano Maniuni, “figura”, antesignana del nostro Icaro, che nel contratto col divino Antonello pretese, non fulgori di ori e di azzurri, ma la “virginis Marie et angeli Gabrielis” … “cum casamento”, la vera novità, questa, della pittura del ‘400.
In basso una grasta di maiolica bianca e blu, con il suo tondeggiante cactus spinoso, parla della ceramica di uso comune, quella presente allora nelle case della gente, oggetto del nostro discorrere e visibile oggi nei musei (Palazzo Bellomo).
 
Ma ritorniamo al nostro paese di grazia, quello il cui nome non è questa volta un omen, ma rappresenta quasi un ossimoro, una contraddizione in termini! Si veste infatti di aspra durezza, Acrai, nome di roccia pietrosa, avamposto bellico della greca Syracosia, muta il suo nome nel medioevo in Palacioli, cioè a dire, fortezza, castello, rocca, ed è sempre, ma proprio sempre, dalla fondazione greca, squillante di misura e grazia, ricco di fascino gentile.
Come sfuggire alla grazia domestica del suo teatro a perfetta misura della comunità, talmente percepito come un’estensione del personale vissuto dei cittadini che non infrequentemente accade durante le rappresentazioni che il pubblico senta il dovere di intervenire, mettendo in guardia l’attore, che sulla scena appare ignaro di quanto si sta tramando a suo danno.
Gennaio 2022
Foto su concessione dell’Assessorato dei Beni Culturali e dell’Identità Siciliana con divieto di duplicazione, anche parziale, con qualsiasi mezzo. © Regione Siciliana, Assessorato dei Beni Culturali e dell’Identità Siciliana – Galleria Palazzo Bellomo e Casa-Museo Antonino Uccello.
 
CETTINA VOZA

Saggista e scrittrice, tra le sue pubblicazioni Archimede. Siracusa e il suo genio. Ha studiato Lettere classiche con indirizzo archeologico. Ha lavorato a numerosi progetti di valorizzazione dei beni culturali in Sicilia, ai testi e all’ambientazione di audiovisivi riguardanti la storia e l’archeologia aretusee.