Là tutto aveva senso e significato, per cui la casa viveva una sua vita, parallela ai mesi, al sole torrido, alle assordanti cicale e poi all’ombra, al fresco di pioggia o di fonte, alla sorsata di quartara e poi ancora al freddo, alla pioggia, al vento e anche alla neve, perché anch’essa, straordinariamente, a quel tempo c’era! Quella casa, allora, pur non essendo degli Spiriti, comandava su quello che c’era da fare: oggi il forno abbruciato a puntino! e domani, pane e olio macinato di friscu, verde e denso, che è vero mangiare! E, a Pasqua e Natale, dolci da saziarsi di odore, di profumo di zucchero e farina, di frutta, matura matura, o asprigna e selvatica, resa cristiana dal miele.
Fra quelle mura si andavano depositando oggetti di antica, tradizionale sapienza, oggetti della casa e del lavoro contadino che, recuperati dal pifferaio magico, quell’Icaro padrone di casa, si andavano ricollocando, quasi per virtù e forze proprie, nei posti giusti e là sistemati riprendevano l’antica vita. Così era successo a figurine in terracotta, lampade, vasi e lumie, presepi ed orci, oleografie di poveri santi e frazzate e cuttunine di rusticani corredi: con gli oggetti si era andata a recuperare l’antica vita che loro apparteneva e che, ripreso quel fiato vitale, respirava armoniosa con la casa tutta.