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Gastroarcheologia Siracusana

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Museo P.Orsi scodella frammentaria in ceramica sigillata © Regione Siciliana Ph.Giuseppe Mineo

Gastroarcheologia Siracusana

Un prezioso articolo del grande archeologo Luigi Bernabò Brea (1910-1999)

 
Quali fossero le specialità della cucina siracusana del tempo dei Dinomenidi, di Dionigi, di Timoleonte o del tempo di Verre al confronto delle cucine delle altre colonie greche della Sicilia o dell'Italia meridionale, proprio non saprei dire perché non ci è giunto il menu di alcuna delle cauponae di allora e gli storici antichi, di tutt'altre faccende preoccupati, su queste cose ci hanno lasciato scarse informazioni. E dobbiamo d'altronde deplorare che anche in età moderna gli studi su questo particolare ramo dell'arte dell’umanità, che pure non è dei meno attraenti e dei meno gradevoli, siano state molto trascurati e che se si moltiplicano i volumi sull'architettura e sulle arti figurative o sulle armi dell'antichità, pochissimo si è scritto sulla cucina. Ma se conosciamo poco le specialità gastronomiche assai meglio informati siamo sull'arredamento e sull'attrezzatura delle cucine antiche. Lo scavo degli abitati ci ha restituito infatti moltissimi frammenti, molto più raramente esemplari interi, di pentole, di casseruole, di teglie, di tegami ed anche di focolari, frammenti che ci permetterebbero di delineare facilmente l'evoluzione delle forme e dei tipi attraverso i secoli. Non entriamo qui in quello the poteva essere l'arredamento della mensa e della casa con le ceramiche nobili e di lusso che la ornavano, ceramiche finemente lavorate, verniciate in nero, recanti sovente eleganti ornamentazioni od anche scene figurate. Il loro esame anche sommario ci porterebbe molto al di là dei limiti di spazio the qui ci sono consentiti. Limitiamoci dunque alla cucina vera e propria, a quanto riguarda la preparazione e la cottura dei cibi incominciando dai focolari. A parte i forni, che certamente non mancavano ma di cui nel Siracusano non ci è pervenuto alcun esemplare completo, in nessuna cucina mancava una fornacella di terracotta per cucinare a carbon di legna.
 
 
Forse fin dall’età di Timoleonte, cioè dalla seconda meta del IV secolo a.C., queste fornacelle erano fatte con una certa eleganza e recavano delle decorazioni in rilievo. Oltre ad innumerevoli frammenti ci sono pervenuti due modellini fittili, forse giocattoli per bambini, uno dei quali conservato nella collezione Iudica di Palazzolo Acreide, l'altro posseduto dal Museo di Siracusa. La vaschetta con fondo crivellato di fori nella quale ardeva la carbonella era elevata su un alto sostegno conico, largamente aperto sul davanti, nel quale cadeva la cenere. La pentola o la casseruola erano sostenute al di sopra del fornello da tre spuntoni the sporgevano della parete verso l’interno di esso, spuntoni non grezzi ma generalmente configurati a muso di animale o, ancor più sovente, costituiti dalla lunghissima barba di una testa di Sileno un po’ caricaturale. Questo tipo di fornacella deve essersi conservato in uso per parecchi secoli a Siracusa, cosi come e con poche varianti, in tutta la Sicilia Orientale. Le pentole e le casseruole che dovevano essere messe sul fuoco erano fatte naturalmente con una tecnica speciale. Non erano cioè di argilla depurata come le altre ceramiche ma erano di un impasto di argilla con tritumi silicei, generalmente ricavati da sabbie o da rocce vulcaniche, che molto meglio della semplice argilla resiste all'azione del calore. Il che d'altronde continua a farsi fano ai giorni nostri. Nell’età più antica, e cioè nel VII e VI secolo a.C., le più fini fra queste pentole, quelle forse che davano maggior sicurezza di non spaccarsi sul fuoco, erano importate dalla Grecia, probabilmente dalle Cicladi o dall'Eubea. Infatti, nella necropoli di Milazzo, che va dagli ultimi decenni dell'VIII ai primi decenni del VI sec. a.C. sono state rinvenute numerosissime pentole di tale provenienza, adoperate come urne cinerarie per conservare le ceneri del morto. Sono vasi sferoidali a fondo convesso con una o, pia raramente, due anse verticali a largo nastro. Negli scavi della Siracusa arcaica si sono trovati numerosi frammenti di pentole analoghe.
Museo P.Orsi piatto figurato a figure rosse © Regione Siciliana Ph.Giuseppe Mineo
 
In età arcaica ed ellenistica le forme dei vasi di cucina sembrano molto più vane e sarebbe un'esercitazione interessante fame una classificazione completa, cosa che per ora è stata fatta solo parzialmente in relazione a qualche singolo rinvenimento o a qualche scavo particolare ma, almeno per quanto riguarda la Sicilia, non con vedute d'insieme. La più interessante scoperta relativa all'argomento di cui ci occupiamo è stata fatta però pochi anni addietro nel territorio dell'antica Akrai. Nella proprietà Caligiore in contrada Aguglia, dove gli scavi misero in luce le vestigia di una grande fattoria fiorita in età ellenistica e romana e di un santuarietto agreste, fu trovata una cisterna colma di frammenti ceramici dai quali si poté ricostruire una gran quantità di vasi, tanti da riempire quasi un'intera sala del Museo di Siracusa. Appartengono all'avanzata età ellenistica, agli ultimi decenni del II o agli inizi del I secolo a.C. Sono ceramiche di uso comune, quelle appunto che erano destinate ad arredare la cucina e la mensa della fattoria. Vie una lunga serie di pentole, di casseruole d'impasto, sempre col loro coperchio, nelle quali lo stesso tipo si riproduce identico in diverse misure come nelle nostre attuali batterie da cucina. Vi sono dei tegami e delle teglie per cuocere torte o schiacciate. Gli innumerevoli piatti - di un'argilla più fine, grigia buccheroide, a bella superficie di colore nero intenso - appartengono a quella classe ceramica conosciuta dagli archeologi come “Campana C” che studi recenti fanno invece supporre prodotta in Sicilia; una ceramica che per le sue forme si distacca ormai da quella che era stata la lunga tradizione evolutiva della ceramica greca e dà l'avvio a quelle che saranno invece le forme classiche della ceramica di età imperiale romana, cioè della ceramica detta “Aretina” o meglio “terra sigillata”. È l'ultima classe di ceramiche a superficie nera. Nel corso del I secolo a.C. infatti nelle ceramiche domestiche il colore nero, che era stato in uso in età greca, verrà abbandonato, sostituito dal colore rosso corallino che resterà esclusivo per tutta l’età imperiale romana. Anche di questi piatti neri, così come delle scodelle o tazze della stessa materia, abbiamo una lunga serie di esemplari, varianti da diametri di cm. 46 per i piatti di portata ai cm 10,5 per quelli del coperto individuate.
Museo P.Orsi Sala Kamarina - particolare © Regione Siciliana Ph.Giuseppe Mineo
 
Ma è straordinariamente interessante che in questo complesso di ceramica dell'Aguglia, oltre a tutti gli accessori dell'arredamento della cucina e della mensa - comprendente brocchette, bottiglie, oliere, saliere, lucerne ad olio ecc. - vi sia anche tutta una serie di misure di capacità, costituita da vasi cilindrici di argilla molto raffinata che recano il bollo del magistrato responsabile, di quello cioè che era allora l’ufficio dei pesi e misure. Nessun alto rinvenimento siciliano ci aveva finora restituito dei servizi domestici cosi ricchi e cosi completi, che ci permettessero di farci un'idea altrettanto precisa di quello the doveva essere l'arredamento di una cucina in un momento determinato. Ammettiamo che si tratta di una documentazione in certo modo parziale perché il ricco e vario complesso di suppellettili ceramiche doveva essere integrato largamente da vasi e da utensili di rame o di bronzo, dei quali ci sono giunte testimonianze enormemente più scarse perché, mentre un vaso di ceramica rotto non serviva più a nulla e non vi era altro da fare che buttarlo, un vaso di bronzo aveva sempre un valore e poteva essere rifuso dai calderai. Sicché i rinvenimenti di metallo sono sempre scarsi negli scavi delle antiche abitazioni, quando queste non siano state oggetto di una distruzione violenta come quella per esempio di Pompei e di Ercolano.
Museo P.Orsi scodella frammentaria in ceramica sigillata © Regione Siciliana Ph.Giuseppe Mineo
 
Pubblicato in Del mangiar siracusano, a cura di Antonino Uccello, Azienda Provinciale Turismo di Siracusa, 1969
Il Museo archeologico Paolo Orsi è un sito del Parco archeologico e paesaggistico di Siracusa, Eloro, Villa del Tellaro e Akrai. Foto su concessione dell’Assessorato dei Beni Culturali e dell’Identità Siciliana con divieto di duplicazione, anche parziale, con qualsiasi mezzo.