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SEBASTIAN’S

Sandro Campagna
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LE NUVOLE
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Ph. © Sebastian's

Sebastian’s

Le molteplici umanità tra fede e arte contemporanea

 
Palazzolo Acreide, 10 agosto, è il giorno della festa di San Sebastiano. Alle 13 in punto quando il sole è allo zenit, esplode la gioia, si inneggia al santo urlando il suo nome e mentre il pesante fercolo di legno dorato che porta la statua del protettore, scende la ripida scalinata della chiesa barocca nella piazza principale, essa scompare per alcuni istanti sotto una pioggia di colori, di n’zareddi che esplodono dai mortai, disseminati per terra e sulla facciata della chiesa.
San Sebastiano attira su di se migliaia di sguardi e di preghiere, di suppliche e ringraziamenti, a lui si chiede di intervenire nell’umana quotidianità.
È lui che rappresenta l’anello di giunzione fra l’uomo e Dio.
10 agosto 2021, per il secondo anno consecutivo il Covid 19 e i suoi fantasmi capaci di suscitare paura fermano la festa e il suo popolo. Ma non fermano l’arte, che ne rielabora e restituisce i significati.
San Sebastiano Contemporary - Casa Bramante ha organizzato, nel periodo della festa, una mostra dal titolo “Sebastian’s” i cui protagonisti sono gli artisti Corrado Levi e Manuel Scrima in una personale doppia, come potremmo definirla, tutta dedicata a San Sebastiano e ai molteplici significati che possono essere estrapolati dalla sua figura se, per un momento, guardiamo al santo come “uomo”, usciamo dall’aspetto prettamente religioso della sua testimonianza ed entriamo in contatto con l’esperienza di Sebastiano, sofferta e offerta al visitatore come una costante di vita. E basta pensare al simbolo iconografico del santo, ovvero le frecce, che nell’antichità rappresentavano il flagello della peste, per riportarci a quella di oggi, il Covid.
Quelle frecce che trafiggono l’uomo nella sua debolezza, nella sua natura finita racchiusa nel ciclo della vita: nascita, crescita, morte.
 
Nelle opere di Manuel Scrima, che utilizza la tecnica fotografica del negativo su supporto metallico, cogliamo la preparazione dell’artista sul tema del santo, sulla sua Passio così come la storia la propone e diffonde, ma c’è molto di più. Le opere di Scrima sono il risultato della sovrapposizione di due scatti, molto simili ma non identici che donano al corpo una vibrazione nuova accentuando il dialogo fra l’opera e lo spazio in cui essa è contenuta.
Se a un primo impatto il modello usato dall’artista rimanda alla figura classica dell’ideale di bellezza, i cui contorni fisici lasciano immaginare un atleta di epoca classica o il San Sebastiano di Andrea Mantegna, piuttosto che il David di Michelangelo, rimanendo davanti alle sue opere siamo quasi costretti a percepirne il movimento. Quella vibrazione che porta all’orizzonte dell’astratto in cui a farla da padrone sono i rapporti fra i pieni e i vuoti, fra i bianchi e i neri.
Sì, perché sono scatti realizzati con una tecnica particolare che vede il modello posare dietro un telo, nascondendo i dettagli del corpo e facendo venire fuori la sua silhouette, e le frecce sospese davanti al soggetto danno l’illusione di un corpo profondamente trafitto senza che questo accada realmente. È in questo gioco di forti chiaroscuri fra la figura quasi completamente bianca e il suo spazio circostante, che si evidenzia un altro messaggio, vale a dire la capacità dell’uomo di scoccare le sue frecce verso gli altri, ma anche verso se stesso.
 
Nell’epoca in cui viviamo, spesso siamo noi stessi la causa del nostro male.
Lo possono essere le sovrastrutture mentali che ci siamo costruiti nel corso della nostra vita, possono esserlo i nostri sensi di colpa, le nostre paure, la mancanza di coraggio o semplicemente quel sentimento di insicurezza che ci spinge a non andare oltre i nostri limiti e a rimanere nella nostra comfort zone. L’indagine di Manuel Scrima parte dal martirio di Sebastiano – che ripropone in un percorso a tre dimensioni considerando che alcune sue opere riprendono il soggetto non soltanto frontalmente ma anche a destra e a sinistra - ma ci narrano anche dei Sebastiani di oggi trafitti da mille problematiche e costretti a vivere in uno spazio/tempo caratterizzato da difficoltà.
Nonostante questo, l’artista compie il suo percorso fino alla fine. Così come Sebastiano nella sua vita terrena che lo vide due volte martire, anche Manuel Scrima conclude la sua esperienza di Sebastiano con uno scatto in positivo dove il corpo del modello viene messo in risalto dallo sfondo circostante e appare in una posa di sfinitezza, con le braccia alzate i polsi legati e le gambe inclinate, come immortalato nel suo eterno lasciarsi andare perché il suo tempo si è concluso.
L’artista ci restituisce la visione di una figura universale, ma rinnovata nel suo linguaggio artistico e contemporaneo.
 
Di fronte alle opere di Corrado Levi, l’altro autore in mostra, ci ritroviamo immersi in un’esperienza di “segni” in cui a farla da padrone è il colore rosso. Architetto e longevo artista, scrive sulle sue opere “San Sebastiano” con un pennarello rosso in forma quasi ossessionante. Il colore simbolo della passione, della sofferenza, del martirio invade le opere di Levi sovrapponendosi a segni più leggeri che identificano il corpo.
Anche in questo caso siamo dinanzi a una ricerca corporale caratterizzata da segni che restituiscono forme quasi totalmente astratte, ma nelle quali - se facciamo attenzione - possiamo fare esperienza della forza dell’artista che continuamente sembra riprendere e riferirsi a modelli del passato. La sequenza di queste tele sulle quali si presentano anche tagli e fori, ci predispone a un percorso che sembra avere un inizio e una fine, sia che si ammirino da sinistra verso destra o viceversa.
Il “segno”, prerogativa delle opere di Corrado Levi, sembra evolversi o dissolversi completamente, in base ai nostri passi e in questo ciclo di comparsa/scomparsa c’è una costante che si ripropone al visitatore: la ferita.
 
Ferite inferte dalle frecce eseguite con un tratto deciso, ferite che si aprono sul groviglio di segni che identificano il corpo e ferite che attraversano letteralmente il corpo/supporto sul quale l’artista ha lavorato. Sia esso il foglio di carta bucherellato o la tela con minuti tagli che invadono la superficie di quel “corpo” esse indicano un gesto e dunque un’azione mirata, talvolta provocatoria come nell’opera in cui si possono distinguere due corpi avvinghiati, uno dentro l’altro, raffigurati in un doloroso quanto provocatorio atto d’amore.
C’è una caratteristica pregnante in alcune delle opere di Levi, ed è quel senso di sessualità che dirompe da esse verso lo spettatore, il cui sguardo viene attirato in alcuni punti ben precisi, individuando fra le linee indefinite, la zona normalmente celata dal pudore. Possiamo pensare a dettagli di citazioni artistiche, ad esempio il gruppo di figure nell’incisione settecentesca di Giovanni Battista Piranesi intitolata “Prigionieri su una piattaforma” o ancora al “Francisco Franco” di Renato Guttuso.
Le opere di Corrado Levi ci interrogano sulla potenza del gesto che ha generato quei segni che sono diventati corpi e che parlano un linguaggio astratto, interpretando i sentimenti che da sempre accompagnano l’uomo, nell’orizzonte della ricerca del sé che non può prescindere dal fare i conti con una forza superiore che non si manifesta visibilmente, ma che determina l’esistenza umana rendendoci, per quelle frecce, tutti Sebastiani.
 
DARIO BOTTARO

Studia all’Istituto Statale d’Arte, si specializza in Pittura e Arti Visive all’Accademia di Belle Arti di Noto e completa gli studi sul patrimonio artistico presso l’Istituto di Scienze religiose S. M. di Monte Berico. Studioso del culto di Santa Lucia, ha pubblicato diversi volumi tra i quali, di recente, Santa Lucia nella pittura aretusea. Pale d’altare e dipinti devozionali nelle chiese della provincia di Siracusa Ha catalogato il prezioso corredo del Simulacro argenteo della Santa e ha diretto la collana editoriale della Deputazione della Cappella di S. Lucia di Siracusa. Per Morlacchi editore ha collaborato al testo Lux in tenebris lucet.