Nelle calde sere di questo agosto siracusano Le Nuvole di Aristofane tornano a “mostrarsi” a teatro, invocate dalla regia di Antonio Calenda. Graziosamente vestite di vaporosi tulle colorati, danzanti fra una sobria scenografia dal gusto neoclassico, leggere esse conducono verso una complessa esperienza dell’esistere.
Le Nuvole di Calenda sono “un’edizione brechtiana, surreale, inquieta e crudelmente comica”, per usare le parole dello stesso regista, con cui quella Commedia Antica scritta a ridosso della guerra del Peloponneso, si immedesima in corpi moderni. Dove Passato e Presente si stringono cordialmente la mano, in un intreccio di storie di ieri ma sempre attuali.
Inizia lo spettacolo e un mondo alla rovescia elude, seppur per poco tempo, le regole della vita quotidiana, concedendo al pubblico divertito quell’ilarità carnascialesca capace di far sfidare le paure dei problemi esistenziali e di un futuro incerto. È quel famoso “onomasti komodein”, il deridere comicamente la figura di Socrate che costruisce, battuta dopo battuta, un “presente” composto da tante contraddizioni, in cui, quasi per necessità, si scontrano tradizione e innovazione, vecchio e nuovo, le generazioni, con deformanti risultati. È nel dialogo fra Il Discorso Peggiore e il Discorso Migliore che si gioca poi, l’intera partita. La bella citazione de La Signorina Felicita di Guido Gozzano, inserita nel testo dalla vivace traduzione di Nicola Cadoni, restituisce tutto il peso di una lotta dal finale scontato:
“Odore d’ombra! odore di Passato, odore d’abbandono desolato!”