parallax background

Chiede riposo la Santa Lucia di Caravaggio

Siracusa Contemporanea
Aprile 23, 2021
Caravaggio o Caravaggiomania?
Aprile 23, 2021
Dettaglio di Il Seppellimento di Santa Lucia, Caravaggio, 1608

Caravaggio in Tre Quadri

Quadro 2 - Chiede riposo la Santa Lucia di Caravaggio

 
Chiede riposo la Santa Lucia di Caravaggio. Chiede che si dia compimento a quello che Cesare Brandi scrisse nel 1997, cioè che il quadro non ritorni in quella basilica di Santa Lucia al Sepolcro il cui contesto ambientale fu la causa del disastro che la stava facendo scomparire dopo le ridipinture del Suppa che avevano coperto completamente la tela ed erano dovute forse ai fumi delle steariche accese in quella basilica.
Chiede, forse, di essere collocata in modo da essere visibile con buona luce e corretta prospettiva nella Galleria di Palazzo Bellomo e di avere accanto l’epigrafe oggi collocata al Museo Orsi, che testimonia, unica nel suo genere, il nome della Santa Patrona: “euskia, l’incensurabile, che visse onestamente e nobilmente anni più o meno venticinque, morì nella festa della signora mia Lucia, per la quale non è necessario pronunciare encomio…”.
 
Museo P.Orsi, Euskia © Regione Siciliana Ph.Giuseppe Mineo
 
Datata al V d.c. secolo a testimonianza del culto già vivo nella città, come ha scritto Maria Rita Sgarlata nel catalogo della mostra Et fuit Lux, svoltasi nel 1998 nel portico svevo dell’Arcivescovado di Siracusa, dove dialogava con il sarcofago di Adelfia.
E ancora la Sgarlata ricorda che le spoglie fossero conservate nella catacomba sin quando, nel 1039, il generale bizantino Giorgio Maniace se ne impadronì trasferendole a Bisanzio. Destino ancora errabondo se nel corso della crociata del 1204 le spoglie della santa, assieme ad opere straordinarie, furono razziate dai Veneziani in compenso per i servizi “logistici” offerti. Erano restati a Siracusa solo pochi brani del corpo della santa e sono quelli che ancora oggi si venerano. Il popolo però tramanda che i siracusani assai più furbi di Maniace consegnarono le spoglie di quella che potrebbe essere stata una nobildonna morta di veleno a quaranta anni. E allora il corpo vero sarebbe ancora sepolto sotto la chiesa e nelle catacombe inesplorabili per i crolli successivi.
La Basilica di Santa Lucia al Sepolcro Ph. Marcello Bianca
L'altare maggiore, Ph. Marcello Bianca
 
Chiede che non siano le esigenze di un culto o interessi economici e spettacolari a prevalere.
Fu una scriteriata decisione quella che indusse il parroco della basilica di Santa Lucia al Sepolcro a rivestire, alla fine degli anni Sessanta del secolo scorso, l’esterno dell’abside della chiesa con un intonaco a base plastica, inventato da una azienda di Gela e diventato rapidamente il toccasana per la protezione dall’esterno degli edifici, ma anche un sudario capace di bloccare il respiro delle murature antiche e impedirne la traspirazione: il quadro, già di per sé delicato proprio per il modo avventuroso del Caravaggio nel costruire la tela e collocarvi il supporto pittorico, nonostante i primi interventi di restauro, ricollocato dopo il primo intervento di restauro, non poté che peggiorare rapidamente sino a dover essere spostato a Roma presso l’Istituto Centrale del Restauro in via Panisperna, dove il lento lavoro durato 8 anni, lo ripulì delle ridipinture e rafforzò, nell’adesione ad una nuova tela di supporto, gli stracci adoperati dal Caravaggio.
Ma l’interesse per il quadro e la sua esposizione, percorreva altre strade: accettata l’impossibilità di ricollocarlo nella chiesa (allora sì e oggi perché no?), Paolo Paolini, Soprintendente ai monumenti nella Sicilia orientale, aderì alle richieste della Curia e progettò uno spazio nella sagrestia, accanto all’aula della basilica, per ricollocarvi il quadro al ritorno da Roma: una cornice di marmo posta in posizione frontale e a pochi centimetri da terra, una specie di cappella museo che avrebbe soddisfatto esigenze di devozione e di esposizione.
 
Ma il quadro ritornò al Museo di Palazzo Bellomo dove era ben collocato in una grande sala, vicino all’Annunciazione di Antonello da Messina (anche quello proveniente da un convento, di Palazzolo Acreide, dono di una famiglia nobiliare ricca e colta), e vicino alla straordinaria lastra tombale di Cabastida acquistata da Paolo Orsi nel 1908 ad Agira. E sembrava quella la definitiva collocazione: si poteva guardarlo da destra e dal basso con la luce che spioveva dall’alto e da destra, quasi come nella originaria collocazione nella basilica.
Il sisma del 13 dicembre del 1990 portò alla rapida chiusura di Palazzo Bellomo per i seri danni riportati, ma una fortunata serie di circostanze permise alla amministrazione dei beni culturali di intervenire subito riaprendo il primo edificio pubblico, un museo, a poco più di un mese dal sisma.
Sembrava che ci si avviasse a una stabilità: oggetto prima di tutto d’arte e cultura, il valore simbolico e devozionale non veniva negato ma si riconosceva la priorità della conservazione. Peraltro, i restauri degli edifici svevi, Castello Maniace a Siracusa, il castello di Augusta, la chiesa di Sant’Andrea a Buccheri, il matroneo nel terzo cortile dell’arcivescovato, sembravano costituire la giusta cornice intellettuale alla definitiva musealizzazione del quadro.
 
Già nel 1951, prima però che si rivelassero i gravi danni apportati dalla conservazione nella basilica al Sepolcro, per volontà di Roberto Longhi, il quadro era stato dato in prestito alle Gallerie di Palazzo Reale a Milano per la mostra Caravaggio e i caravaggeschi e le foto di allora testimoniano anche della poca cura adottata per gli spostamenti.
Dal 2003, la presenza di Vittorio Sgarbi in Sicilia innesca un “interesse morboso” intorno al quadro che ancora oggi non è svanito. Già rimosso dalla sua collocazione museografica a Palazzo Bellomo per una breve apparizione nella basilica alla Borgata, dove però restava coperto da un panno rosso per gran parte del tempo e anche in occasione delle celebrazioni per la Santa patrona, forse per una specie di pudore ancora presente, per quella immagine popolare della Santa, venne collocato provvisoriamente nei locali dell’abbandonato museo archeologico in Piazza del Duomo, nella sala che ospitava la Venere Landolina. Sgarbi ne richiese il prestito per la mostra da lui allestita al Palazzo Reale di Milano nel 2003-2004 ma in quella occasione si lasciò convincere della inamovibilità dell’opera. 15 anni dopo il quadro è ancora andato in prestito nella nuova mostra da lui allestita al Mart di Rovereto (è tornato a Siracusa a dicembre 2020).
Ph. Toni Mazzarella
Ph. Toni Mazzarella
 
La collocazione originale era una collocazione devozionale e rispettosa di volontà popolari ma poco visibile e soprattutto, per lunghi anni esposta al fumo delle steariche e poi allo shock dell’umidità indotto dall’impermeabilizzazione delle absidi in una basilica in cui l’eliminazione della volta ottocentesca aveva sì portato alla luce il soffitto ligneo, ma sconvolto l’assetto post barocco unitario ed anche l’equilibrio termico complessivo.
Come non ricordare le passeggiate con Luigi Santi Agnello, nelle catacombe sotto la chiesa e accanto al cosiddetto sepolcro, dove lui riteneva fosse il vero luogo del seppellimento del corpo della santa, al di sotto della colonna che, nell’incrocio tra absidi e navata trasversa, è collocata una colonna di età romana indicata come la colonna del martirio a segnare, a suo dire, il luogo in cui lo stesso avvenne.
 
Concludendo, sarebbe oggi una scelta fondata riportare Il seppellimento di Santa Lucia a Palazzo Bellomo dove dialogherebbe con le opere siracusane degli allievi e prosecutori di Caravaggio? Si può ignorare che il Museo è stato oggetto di una radicale opera di modernizzazione che ha però fatto perdere lo straordinario rapporto tra le sale e la luce naturale, così importante per i pittori del Cinque e Seicento?
Ma, soprattutto, quale ruolo la città sarà capace di assegnare al famoso e “tribolato” dipinto collocandolo nella basilica di Santa Lucia al Sepolcro?
Febbraio 2021
Quadro 1 - Come riscoprire un Caravaggio Quadro 3 - Caravaggio o Caravaggiomania?
 
FRANCESCO SANTALUCIA

Architetto con la passione per la valorizzazione e promozione del patrimonio culturale e umano, a Siracusa ho vissuto un bel pezzo della mia vita professionale occupandomi del restauro di monumenti come Castello Maniace, di interventi come quello sulla piazza del Duomo, di vincoli per la tutela paesaggistica. Poi ho diretto la Villa del Casale a Piazza Armerina. Adesso scrivo e faccio parte della direzione editoriale di SiracusaCulture.