"Se pensate che il mestiere di cuoco sia semplice a Siracusa vi sbagliate di grosso. Qui al porto arriva gente da ogni parte del mondo e bisogna conoscere i gusti di tutti. Quelli di Rodi per esempio, come aperitivo, vogliono una tazza di vino caldo profumato di pesce, (...). Se ci metti dentro una bella seppia li fai felici (…). Quelli di Bisanzio vogliono molto aglio e un pizzichino di anice (…). I Corinzi invece della cucina ateniese non ne vogliono proprio sapere.
Poi ci vuole occhio nello scegliersi il padrone. Bisogna capire immediatamente con chi si ha a che fare (...). Può capitarti magari quello che prima ti dice grandi magnificenze della sua casa, e poi una volta la, ti trovi a dover fare tutto con le sole tue forze . Se per caso protesti un po', magari è anche capace di bastonarti, e arrivati al momento di pagare ti fa un sacco di storie, e non ti vuol dare quel che si era pattuito, solo, per esempio, con la scusa che nelle lenticchie l'aceto era poco (...). Ma oramai ho una certa pratica, e la gente di questo tipo non la prendo in considerazione. Bisogna capire a volo quali sono i clienti buoni, e non lasciarseli scappare, capire, ad esempio, quali siano quei mercanti che se ne tornano a casa col gruzzolo dopo aver fatto buoni affari qui al porto. Un cliente apprezzabile è anche lo zerbinotto di buona famiglia, colui che sta sperperando il patrimonio con le donnine allegre. (…) Non faccio per dire, ma qui in piazza sono uno dei meglio pagati. Perché so farmi una buona propaganda, e quando arrivo in casa di qualcuno mi do un certo contegno (…) riesco a sembrare importante. Se devo allestire un banchetto, mi sento un po' come un generale: distribuisco incombenze, ordini precisi, grido, urlo, e magari al momento giusto, lascio andare qualche scappellotto (…). Questa è anche la tecnica più sicura per tener lontani dalle cucine i padroni di casa (…).
Non vi dico che cucine trovo. Sfornite di tutto, senza aceto, senza semi di finocchio, senza origano, senza foglie di fico per fare gli involtini di carne, senza olio, ne mandorle, ne aglio, ne mosto cotto, ne porri, ne cipolle! Silfio non c'èmai, e mancano persino il sale e la legna... Mi debbo portar sempre tutto (…). Non per vantarmi, ma io sono uno dei pochi cuochi veramente seri della piazza. Non come certi miei colleghi, sempre con la goccia al naso, raffreddati, che non hanno l'odorato e non possono aspirare e giudicare l’odore delle loro salse. Ce ne sono che hanno il gusto addirittura depravato, e adoperano la lingua per tutt'altri affari che di cucina (…). Altri si lasciano andare troppo con il sale, altri ancora sono talmente golosi che alla fine, a forza di assaggi, lasciano le pentole quasi vuote. Poi c’è sempre qualche infoiato che si perde dietro a qualche servitorello, o a una balia della casa e intanto lascia bruciare la roba sui fornelli (…) senza parlare di quelli che non sopportano né il fumo né il fuoco e si riducono in lacrime e con gli occhi rossi sin da sembrare un mascherone da tragedia.
Spero vi sarete resi conto che io, senza difetti, quasi, sono il numero uno dei cuochi siracusani. Nella mia professione ho guadagnato più di quanto possa mai guadagnare uno dei nostri più celebri attori in tutta la sua vita (…). La mia arte si svolge in un impero di fumi profumati. Sono anche un inventore, perchè sono stato io a inventare l'uso della lenticchia reale in casa di Agatocle. Ma ho fatto anche di meglio: si parla tanto di un tal Lacares, al quale, essendo generoso con gli amici in tempo di carestia, capitò di dare da mangiare a Minerva in incognito (…) io invece, altro che Minerva, io nutro Zeus con tutta la sua combriccola degli Olimpici (…) il dio tonante oramai non vuol nutrirsi che del fumo dei miei fornelli (…). Praticamente ce l’ho in pugno e se non cucino io morirà di fame!"
Marzo 2021