parallax background

Ortigiana per amore

Museo dei Viaggiatori in Sicilia
Marzo 16, 2021
San Sebastiano a Siracusa
Marzo 20, 2021
Una libreria di legno scuro con un’anta aperta, come se qualcuno avesse appena preso un libro e si fosse dimenticato di chiuderla. Uno spartito musicale poggiato su un leggio al centro della stanza. La Scuola di Atene di Raffaello appeso a una parete.
È qui che mi accoglie Susi Kimbell, in una stanza della biblioteca della sua scuola in Ortigia. Ancora non lo so, ma quegli oggetti parlano di Susi, raccontano già la storia che sto per ascoltare.
Io Susi non l’ho praticamente mai vista prima, non so nulla di lei, ma dal primo saluto la nostra breve chiacchierata scorre tranquilla, senza silenzi né imbarazzi. Purtroppo la stanza dove mi lascia entrare e le parole che mi permette di ascoltare sono offuscate da uno schermo e attutite dalla distanza. In questo periodo non possiamo incontrarci, né stringerci la mano, né sederci sul divanetto che sosta immobile sotto La Scuola di Atene. Ciononostante, Susi inizia a raccontarmi la sua storia e io smetto di pensare a quanto sia strano conoscere qualcuno in questo modo, a quanto sia difficile riuscire a comprendersi nonostante le videocamere che vanno a scatti, le connessioni che saltano, i microfoni che stanno accesi quando non dovrebbero e spenti quando invece servirebbero.
 

Susi è nata in Scozia, da padre inglese e madre tedesca, entrambi musicisti, e fin da subito ha guardato il mondo con questa «lente europea». Il padre ogni tanto veniva in Italia per studiare dei documenti. «Io gli chiedevo sempre di portarmi con sé, ma lui mi diceva di no, che sarei andata in Italia quando sarei diventata grande». Ai tempi del liceo, dopo una gita scolastica a Roma e Pompei, il desiderio di una bambina si trasforma nell’aspirazione di una donna.
Susi inizia l’università a Edimburgo, decide di intraprendere un percorso un po’ particolare: un double degree, cioè una sorta di doppia laurea, in storia dell’arte e italiano. Queste sono all’epoca le sue due grandi passioni, e inseguendole inizia a delinearsi la strada da percorrere. Il suo corso di studi le impone infatti di trascorrere il terzo di quattro anni in Italia. «Per puro caso ho trovato un lavoro come ragazza alla pari a Siracusa - così inizia la storia di Susi in Sicilia, a Siracusa, in Ortigia – ho creato con questa famiglia un bellissimo rapporto, ho conosciuto e fatto amicizia con molte persone durante la mia permanenza». Terminato l’anno in Italia, Susi torna in Scozia per laurearsi e decide di perfezionare ulteriormente la sua formazione con un master in restauro di quadri. Per tutto quel periodo, quando può, viaggia zaino in spalla da Edimburgo a Siracusa e ritorno, con il treno, per tornare a riabbracciare con lo sguardo le strade, i palazzi, il mare di Ortigia.
Ma a spingerla a fermarsi definitivamente è l’amore. Durante le sue visite siracusane incontra quello che ancora oggi è suo marito e, «con un po’ di coraggio», decide di rimanere. È il 1991 e da allora Susi diventa parte della città. Gestisce in Ortigia l'Exedra Mediterranean Center, un centro di studi per studenti di università americane ai quali insegna non solo la lingua italiana, ma la cultura e la tradizione, la realtà siciliana. Non abbandona mai il suo amore per l’arte, che si esprime in un’ampia parte del suo lavoro: le traduzioni, traduzioni storico-culturali, perché «tutto quello che è culturale, storico, visivo», è ciò di cui si occupa.
 
Una grande passione, trasmessa dai genitori, è quella per la musica. Susi suona il violoncello e anche a Siracusa ha trovato il modo per coltivare questo suo talento. «Suono da sempre – mi racconta – frequento varie formazioni musicali, La Giga Ensemble, Quartetto Eurialo e orchestre in città». «La musica per me è fondamentale, è la mia terapia», mi dice sorridendo.
Io mi domando se dopo tutto questo tempo, nonostante Susi parli della sua vita a Siracusa con gioia, nonostante le si illuminino gli occhi all’immagine di Piazza Duomo, se nonostante questo sia ancora contenta della sua decisione. Forse è che questo schermo protegge dall’imbarazzo, forse è che Susi mi fa sentire a mio agio, e allora glielo chiedo e lei mi risponde tranquillamente. «Sono ancora contenta di averlo fatto. Non è per non amare la terra dove sono nata e cresciuta, ma non mi pento a nessun livello della decisione presa. Sono stata fortunata in amore e fortunata nella città che mi ha accolto». «Io vivo bene questa città. Ci sono ovviamente le cose frustranti, ma sono di più le cose positive nel quotidiano». Susi me ne racconta alcune, mi racconta dei posti che più ama in Ortigia. «La sala del Castello Maniace e la navata del Duomo – dice – Ogni volta che ci entro mi vengono i brividi, perché sono luoghi che vibrano di storia e non si può non percepire. Un mio amico dice che quando una cosa è antica e genuina, canta. E quelli sono due luoghi che cantano a squarciagola». Questi i primi posti che le vengono in mente quando le domando la sua Top 3 siracusana, ma durante tutta la nostra chiacchierata le sue parole si soffermano e tornano sempre sul senso di “gratitudine” che prova quando ogni giorno attraversa Piazza Duomo. «Ho la fortuna di attraversare la piazza tutti i giorni e ancora, dopo anni, tutti i giorni me ne accorgo».
SK 1 (Small)
Susi mi parla poi del suo rapporto con le persone, io le chiedo se sia stato difficile per lei socializzare. Ma Susi fa tantissime cose e questo l’ha aiutata fin da subito a entrare in contatto con la città. «La musica, il mio impegno nel FAI, il fatto che parlo la lingua abbastanza bene, poi i bambini piccoli e quindi la frequentazione con le altre mamme della scuola…Tutto questo mi ha aiutata a creare una rete che si è sviluppata molto velocemente e non mi sono mai sentita sola o isolata».
In questo un ruolo determinante, riconosce Susi, l’ha giocato il fatto di avere sempre vissuto in Ortigia. E d’altra parte, mi dice scherzando, questo era il “patto” fatto con il marito per il suo trasferimento in Sicilia: una casa in Ortigia. Quando ancora Ortigia non era come la vediamo adesso, quando gli amici le dicevano che andare a vivere in Ortigia fosse una follia, perché le case erano vecchie, senza riscaldamento, perché l’isola era praticamente disabitata. «All’epoca in Ortigia c’era solo una pizzeria in Piazza Duomo, il Vecchio Pub, davvero quattro posti contati». «Ma noi siamo rimasti della nostra idea – continua – abbiamo comprato casa, siamo ancora qui e siamo ancora contenti». A rendere contenta Susi, oltre al poter ammirare ogni giorno le bellezze storico-artistiche di Ortigia, complice la sua “deformazione professionale”, è il lato umano dell’isola, la sua dimensione raccolta che contribuisce a renderla un piccolo villaggio. «Vivere e lavorare in Ortigia mi ha fatto conoscere moltissime persone – spiega – Forse non sono amici, ma sono sempre facce conosciute». «I negozianti, il vigile, sono tutte persone che conosci, che quando le incontri ti fermi e, anche se per poco, scambi due chiacchiere, anche solo un saluto».
Questa caratteristica, che nella mia visione da “ortigiana” rende Ortigia tale più del Tempio d’Apollo e della Fontana delle papere, è quello che ha aiutato Susi a sentirsi a casa.
E Susi a casa c’è per davvero. Lei si definisce e si sente “ortigiana” e forse è su questo che si è basata la nostra sintonia. Due ortigiane che amano la loro piccola isola raccolta, il loro villaggio che trabocca di luoghi, di arte, di cultura, ma soprattutto di storie e di persone.
Scritto da Caterina De Benedictis, gennaio 2021