Susi mi parla poi del suo rapporto con le persone, io le chiedo se sia stato difficile per lei socializzare. Ma Susi fa tantissime cose e questo l’ha aiutata fin da subito a entrare in contatto con la città. «La musica, il mio impegno nel FAI, il fatto che parlo la lingua abbastanza bene, poi i bambini piccoli e quindi la frequentazione con le altre mamme della scuola…Tutto questo mi ha aiutata a creare una rete che si è sviluppata molto velocemente e non mi sono mai sentita sola o isolata».
In questo un ruolo determinante, riconosce Susi, l’ha giocato il fatto di avere sempre vissuto in Ortigia. E d’altra parte, mi dice scherzando, questo era il “patto” fatto con il marito per il suo trasferimento in Sicilia: una casa in Ortigia. Quando ancora Ortigia non era come la vediamo adesso, quando gli amici le dicevano che andare a vivere in Ortigia fosse una follia, perché le case erano vecchie, senza riscaldamento, perché l’isola era praticamente disabitata. «All’epoca in Ortigia c’era solo una pizzeria in Piazza Duomo, il Vecchio Pub, davvero quattro posti contati». «Ma noi siamo rimasti della nostra idea – continua – abbiamo comprato casa, siamo ancora qui e siamo ancora contenti». A rendere contenta Susi, oltre al poter ammirare ogni giorno le bellezze storico-artistiche di Ortigia, complice la sua “deformazione professionale”, è il lato umano dell’isola, la sua dimensione raccolta che contribuisce a renderla un piccolo villaggio. «Vivere e lavorare in Ortigia mi ha fatto conoscere moltissime persone – spiega – Forse non sono amici, ma sono sempre facce conosciute». «I negozianti, il vigile, sono tutte persone che conosci, che quando le incontri ti fermi e, anche se per poco, scambi due chiacchiere, anche solo un saluto».