Dalle cronache e dalle descrizioni diffuse subito dopo il sisma si ha l’idea di un enorme disastro “un’immagine del giudizio finale”, interpretato per lo più dai contemporanei come suprema punizione divina per le colpe degli uomini. “Memorare terremotu et non peccabis”, leggiamo in uno dei documenti della diocesi successivi al gennaio 1693, un monito per tutta la popolazione invitata a contribuire con propri fondi alla ricostruzione. Anche il governo spagnolo e l’aristocrazia fecero la loro parte e la rinascita poté qualificarsi come sforzo corale della società, come senso di comunità. Il Val di Noto diventa così il più grande cantiere della storia dell’umanità e un laboratorio internazionale dei modelli del barocco, che qui raggiunge l’apice della sua straordinaria fioritura finale. Non si tratta tuttavia per le circa 50-60 città, piccole e grandi, danneggiate o rovinate, di una ricostruzione dovuta esclusivamente a danni reali. In alcuni casi, come mi è stato possibile dimostrare, le circostanze offrono l’occasione per avviare una estesa opera di modernizzazione dell’immagine urbana. Esistono sufficienti elementi, emersi dagli archivi, per affermare come non sempre si riscontri una corrispondenza tra danni dichiarati e reali in rapporto alla vastità della ricostruzione intrapresa e come non di rado la sciagura abbia saputo tramutarsi in occasione di sviluppo, grazie all’azione delle classi dirigenti del tempo, affiancate da valorosi architetti, ingegneri, capimastri e artigiani, veri protagonisti di una rinascita di altissima qualità. Gagliardi e Vaccarini, Palma, Picherali e Battaglia, Ittar e Vasta, gli Alì e i Cultraro e tanti altri hanno lasciato il segno in un’architettura che mostra un grande senso del movimento e dello spazio, tratti che la riconducono ai modelli romani e internazionali del barocco, ma al contempo rivelano una eccezionale ricchezza decorativa, che induce a infondere gioia e stupore in chi guarda. È “del poeta il fin la meraviglia” recita Giovan Battista Marino sommo poeta del Seicento. I giochi e i capricci del barocco sono il segno di una cultura in cui il simbolismo e l’allegoria apotropaica rimandano ad etimi antichi e al simbolo stesso che identifica la Sicilia: la Gorgone.