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Pantalica

L’Archeologia di Siracusa
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Davide Bramante
Gennaio 26, 2021
Ph. © Antonio Gerbino

Pantalica, un luogo remoto che fu necropoli

 
Pantalica non è un paese, ma un luogo remoto, che fu necropoli; forse anche il nucleo di un regno siculo, d’epoca micenea, poi ancora un piccolo aggregato bizantino.
Di tutte queste vicende, Pantalica si conserva come un teschio: grandi occhiaie vuote, allineamenti di grevi massi rozzamente sbozzati, come residuo di una reggia. Le occhiaie vuote sono le tombe preistoriche o forse in seguito anche abitazioni, qualcosa come i Sassi di Matera, ma senza parti costruite, senza aggiunte.
Si arriva a Pantalica, cambiando paesaggio almeno tre volte: prima, venendo da Lentini, si trova Bucchèri, e la campagna è un po’ disordinata con ulivi scurissimi, qualche carrubo.
Da Bucchèri si arriva allora su un pianoro spazzato dal vento, ma un vento senza respiro, continuo come il getto di una cannella.
Usciti dal paese (di Ferla) si imboccò una strada dove, quasi di colpo, cambiò la natura; doveva essere quella che ci accompagnò fino a Pantalica.
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„Pantalica si conserva come un teschio: grandi occhiaie vuote, allineamenti di grevi massi rozzamente sbozzati, come residuo di una reggia. Le occhiaie vuote sono le tombe preistoriche o forse in seguito anche abitazioni.”

 
Rocce d’un grigio bellissimo e luminoso, un po’ come la pietra dolomitica di capri, e anche lungo la strada, sforacchiate di tombe; tutte cavità artificiali e, in genere, col soffitto piano.
Ma la cosa straordinaria di Pantalica è la sua struttura a grandi e profondi burroni prodotti, nella roccia durissima, dai due torrenti, il rio Bottigliera e il quasi fiume Anapo, quello che poi a Siracusa si ornerà di papiri lungo le rive e per meglio dire, si ornava, perché pare che l’inquinamento dell’acqua scacci i poveri papiri.
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Ora questi splendidi crepacci, che si vedono dall’alto, e serpeggiano come se invece che scavati nella roccia fossero in un letto di sabbia, hanno ciuffi di verde, qua e là, e, nel fondo, addirittura un fiume, ma di verde: l’acqua è nascosta tra quelle piante.

 
Una volta c’era una ferrovia che pare non fosse mai terminata, e correva a mezza costa: ora è ridotta ad un sentiero che permette di camminare senza troppe acrobazie lungo i due torrentelli veramente arcadici. Le giravolte di questi piccoli corsi d’acqua devono dare uno spostamento di visuale in continuazione: basta fare pochi passi e si vede una nuova quinta; e quel verde che, indisturbato, deve crescere con le foglie di seta come le piante in fondo ad un pozzo, parrà, fra tante rocce, essere anch’esso un relitto preistorico, in un presente senza presente.
Questa è Pantalica, un luogo da visitare senza niente da vedere, da vedere senza niente da visitare, ma come un paese trovato varcando uno specchio è quasi una fata morgana che si è fatta avvicinare senza scomparire di colpo, ma poi certo scomparirà e invece di quelle pareti di roccia a picco, sforacchiate di tombe, ci troveremo lungo aride arene.
Cesare Brandi, da Sicilia Mia, 1980, Sellerio editore, Palermo