Mi sono chiesta quando, per me, dire teatro, sia divenuto dire Siracusa e le rappresentazioni classiche. Cioè essere presente e partecipe di fronte a uno scenario tra i più antichi e belli del mondo. Da più di dieci anni infatti, da quando il programma dell’INDA si era fatto annuale, pur se certamente c’era stato un “prima”, ritrovarmi puntualmente su quegli spalti di pietra era diventato irreversibile, si era fatto per me irreversibile. Tre giorni nella bella città aretusea, tra Ortigia, strade e angoli di rara bellezza, il commentare con gli amici questa o l'altra messa in scena, era una parentesi straordinaria nei ritmi di ogni giorno. Era vivere il teatro e, come dire, restargli a fianco.
Scrivere di teatro, preparare in tempo reale o dopo, la nota di recensione, è stata per anni parte dei miei compiti professionali ma, non appena preso posto su una di quelle avvolgenti gradinate, a fianco di una folla quasi sempre fittissima, altro non ero che “Io e il Teatro”. La suggestione di essere in quel luogo mi prendeva quasi puerilmente e aspettavo quasi ansiosa che si ripetesse quel miracolo straordinario di assistere, come per una ennesima...prima volta, alla vita di Edipo o di Clitennestra, di Medea o di Fedra o di Oreste...lontani da noi ma stranamente riconoscibili: donne e uomini, al cospetto degli dei, della loro benevolenza o della loro ferocia, legati a un destino maturato nel dolore e nel sangue eppure capaci di apparirci estremamente leggibili, antesignani, fuori dal mito nella grandiosità di un testo che pure da tempo avevamo memorizzato.
E gli attori, i registi, gli scenografi, i ballerini, il coro scandivano parole, una all’altra legate dalla sapiente visione dei loro autori. Ascoltavi e basta. Parole che avevi sentito tante volte e che ritornavano se non come nuove, rinnovate. Ti misuravi con la lotta per il potere, con il delitto anche bieco, col fratricidio e con la violenza degli dei, eppure nulla ti pareva distante. Eschilo ti fermava a precise analisi di coscienza, Sofocle riprendeva a sorprenderti per una dolorante saggezza, Euripide ti raccontava di sé e del suo essere un passo oltre, ma sempre in linea con quella grande narrazione della vita e della morte dove a distanza di secoli, tutto è ancora stranamente diversissimo e somigliante al tempo stesso.
Mentirei se dicessi che ogni rappresentazione mi è piaciuta in toto. Ma altrettanto se non cogliessi l’occasione per non dire di quanto più spesso la stupenda efficacia di tante edizioni, riuscisse a conquistarmi insieme a gran parte di quella immensa folla che da ogni parte d’Italia e del mondo si ritrovava gomito a gomito – il Covid sino al 2019 non c'era! - ad applaudire per minuti interi.
Ho cercato di comprendere perché il mio amore per il teatro si realizzasse quasi esclusivamente in quella offerta siracusana dove a volte innovazioni e fantasiosità fomentavano accesi dibattiti. Ma credo di aver compreso che il teatro come evento, quel suo essere comunque regista e sceneggiatore lo articolino, un fatto ogni volta nuovo, seppure accortamente preordinato, era proprio quel che avvertivo. Suggestioni che il teatro tradizionale mi aveva cancellato, che da Pirandello in poi avevo più volte cercato, che l'happening degli anni ‘50 mi aveva proposto e che le emozioni del Living Theatre che a Palermo si esibì, negli spazi del Giardino inglese, con Beck e la Malina mi avevano fortemente restituito. Quella partecipazione del pubblico, quegli attori quasi addosso - tutto difficilissimo da rendere nell’effetto dovuto - aveva costituito per me una svolta. Il teatro è se lo spettatore si sente trascinato all'interno di un testo, di una scena, di un gesto. Se riconosce gli attori che si muovono come dinnanzi a te ma non in scena, quasi nel corridoio di casa tua o come nel terrazzo della casa di fronte. Un po’ come puoi vivere con tante delle operazioni di teatro di Emma Dante.
Forse l’esperienza di gestualità, di forza del corpo, l’audacia e il magnetismo degli attori è quello che spesso ho pure intravisto nelle grandi interpretazioni a Siracusa. Forse sto dicendomi che il teatro, quello che cerchiamo, non sta di fronte a noi. Sembra improvvisazione, ancorché assolutamente preparato, sembra ci trascini dentro. La scena nasce da un testo, da un regista e dalla sua equipe, ma in definitiva vive per noi, senza di noi non può prendere il via. Siamo l'altra gamba del teatro e infatti l’attuale streaming ci fa soffrire. Che avevo detto righe prima “io e il Teatro”? Mi concedo di più: “Io, con il teatro”. Noi con il teatro. Noi, in qualche modo di scena.
Gennaio 2021