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Santuario della Madonna delle Lacrime

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Ph. © Eliseo Lupo

Il Santuario del “miracolo mancato”

 
Tra il 29 Agosto e il 1° Settembre del 1953, al civico 11 di Via degli Orti di San Giorgio a Siracusa, nella “Borgata”, la vera città popolare al di fuori dell'Ortigia, il capezzale dei coniugi Iannnuso – un rilievo in gesso smaltato raffigurante la Madonna – piange.
La casa è assai vicina alla Chiesa dei Cappuccini, Santa Lucia al Sepolcro, custode delle reliquie della Santa patrona della città, Lucia vergine martirizzata nel 304 d.c..
L’evento straordinario attira folle continue di curiosi e devoti da ogni parte dell’Isola e non solo. Mentre la Curia avvia le indagini scientifiche, si verificano le prime di una lunga serie di guarigioni inspiegabili. La risonanza è enorme, i tempi si stringono.
Già il 13 Dicembre arriva l’ufficialità da parte delle autorità ecclesiastiche: nell’epoca dei miracoli mariani che accompagna i primi anni della rinascita dell’Italia repubblicana, anche Siracusa ha il suo.
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"Un grande fatto; un grande segno; il monumento."
Ing Arch V. Passarelli

 
La Curia vaticana decide di dare una giusta collocazione, soprattutto simbolica, all’oggetto miracoloso e acquista un ampio terreno compreso tra la “Borgata” e le aree in cui procede l’espansione della città moderna, trainata dall’indotto petrolchimico, e dove sarebbe stato costruito il nuovo Museo archeologico. Per realizzare un grandioso santuario promuove un bando internazionale che vede un’ampia partecipazione. Tra gli altri, il progetto di Enrico Castiglioni – architetto già allora autore di notevoli restauri – propone una costruzione sotterranea, a forma di orecchio, che avrebbe contenuto e custodito i resti archeologici di un santuario più antico, legato alla vicina area del santuario demetriaco ricchissimo di ex voto, oggi conservati ed esposti nel museo archeologico sito nella vicina Villa Landolina.
Ma la Curia vuole un santuario che sia prima di tutto un simbolo emblematico, vistoso, visibile anche da Malta, da sempre “terra di confine” tra Cristianità e Islam.
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Il progetto dei francesi Parrat e Andrault- che in realtà è un leggero “parasoleil” a difesa della fragile Vergine Maria, risponde perfettamente a questa esigenza ma forse, parafrasando le dichiarazioni dello stesso Castiglioni, la necessità di preservare i resti archeologici è prevaricata dai favoritismi politici della Curia nei confronti dei francesi.
 
Al momento dell’avvio dei lavori, però, ci si rende conto dei limiti del progetto originario, presto stravolto nei materiali e nelle forme. Più che mai serve rivedere tutto, in primis la tenuta antisismica dell’edificio: l’area di Siracusa, infatti, è appena stata dichiarata zona ad alto rischio sismico.
Il compito di mediare tra esigenze simboliche e strutturali viene affidato niente meno che a Riccardo Morandi che, mantenendo la forma piramidale originaria, riprogetta una torre alta 120 metri, interamente in calcestruzzo, articolata al suo interno in due sale sovrapposte: una ipogea e l’altra sopraelevata ma coperta da una lente cementizia che avrebbe nascosto lo slancio dei costoloni.
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I lavori partono e procedono incuranti del valore archeologico del sito ma nuovi problemi strutturali costringono i progettisti a diminuire l’altezza della torre a 90 metri.
Sulla sommità della cuspide si colloca una statua dorata della Madonna in luogo del faro previsto, peraltro oramai per niente visibile da Malta.
È la Regione Siciliana a contribuire al completamento dell'opera, con un esborso di circa 80 miliardi di lire.
A fine lavori e dopo qualche tempo, vengono alla luce limiti esecutivi gravissimi che costringono a un complesso intervento di ripristino dei cementi dei costoloni. La manutenzione periodica delle 22 biglie di metallo su cui poggia l’edificio è quanto mai complessa.
Quando poi, nel piovoso 6 Novembre del 1994, Giovanni Paolo II visterà Siracusa nel suo itinerario mariano, troverà la sala sotterranea allagata e quella superiore piena di gente intenta a raccogliere l'acqua filtrata dalla copertura.
Né vale a riconciliare il Santuario con la Città il giardino urbano realizzato nell’area circostante, che finisce con l'essere encomiabile e apprezzabile, ma pur sempre verde cornice di un quadro “grigio”.
La vicenda complessa e spesso contraddittoria ha risvolti che rispecchiano atteggiamenti assai diversi verso il patrimonio culturale, storico e paesaggistico.
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Già durante i lavori, non pochi iniziano a chiedersi se quell’altissima cuspide non sfregi il paesaggio, da sempre caratterizzato da edifici bassi, disposti su quegli stessi gradoni naturali su cui si erano adagiati gli accrescimenti del primo nucleo della città greca, tra l’altro ancora inesplorati.
Con buona pace di ogni migliore intenzione, lo “skyline” siracusano era stato già compromesso dall'edificio parallelepipedo del cosiddetto Palazzo A-Z – sormontato dalle antenne delle televisioni locali, vero “faro” capace di trasmettere messaggi, frutto più imponente della speculazione edilizia di quegli anni, che costituiva già una vera e propria quinta sopra la balza Akradina, innalzandosi ben al di sopra della cima del cono del Santuario, perfettamente visibile a chi arrivi a Siracusa sia da terra che da mare.
Il completamento del Santuario procede incurante delle evidenze archeologiche. Se l’antico santuario sottostante è già stato coperto da una colata di calcestruzzo “necessaria” alla realizzazione delle fondazioni del pesantissimo edificio sovrastante, la richiesta è adesso quella di realizzare un grande sagrato in cemento armato - per accogliere la folla prevista in occasione della visita del Papa - proprio sul santuario demetriaco portato alla luce dagli scavi in Piazza della Vittoria.
La Curia non gradisce il blocco del progetto e il Vescovo dell’epoca risponderà ponendo il veto, clamoroso anche nelle forme, sugli scavi archeologici in Piazza del Duomo, che però si realizzeranno ugualmente grazie alla concorde volontà delle due amministrazioni comunale e dei beni culturali.
L’area archeologica di Piazza della Vittoria resta ancora oggi non fruibile e isolata: il complesso religioso moderno separa visivamente e fisicamente i santuari antichi e le latomie greche, di villa Landolina, in cui era stata collocata l'architettura del nuovo museo archeologico.
 
Il Santuario della Madonna delle Lacrime è diventato nel tempo un must del turismo religioso in Sicilia ma resta un “miracolo mancato”: un’architettura 'rimediata', la cui la valenza simbolica si riduce alla scelta dell'evidenza segnaletica, capace piuttosto che di evidenziare, di nascondere ciò che da secoli costituiva uno dei simboli religiosi e civili della città, e perdendo l’occasione di una coerente dialettica architettonica tra la spiritualità del presente e quella del passato.
Novembre 2020
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FRANCESCO SANTALUCIA

Architetto con la passione per la valorizzazione e promozione del patrimonio culturale e umano, a Siracusa ho vissuto un bel pezzo della mia vita professionale occupandomi del restauro di monumenti come Castello Maniace, di interventi come quello sulla piazza del Duomo, di vincoli per la tutela paesaggistica. Poi ho diretto la Villa del Casale a Piazza Armerina. Adesso scrivo e faccio parte della direzione editoriale di SiracusaCulture.