Esse raccontano al viaggiatore la storia di un popolo, identificato dal grande archeologo Paolo Orsi nei Siculi della tradizione storica, avvolta in parte nel mistero: nonostante le numerose campagne di ricerca dello stesso Orsi, tra il 1895 e il 1910, e dell’altro grande archeologo Luigi Bernabò Brea, tra il 1962 e il 1971, non è stato possibile identificare l’abitato connesso alla necropoli, salvo quelli che sembrano essere i resti di un palazzo reale, il cosiddetto Anaktoron. Probabile centro politico ed economico dell’abitato, al suo interno Orsi rinvenne alcune forme in arenaria per la fusione del metallo, privilegio che probabilmente spettava solo agli uomini di potere.
La costruzione dei sepolcri, scavati nella roccia viva, era certamente un’impresa ardua, non priva di pericoli. Secondo Orsi, i Siculi si facevano calare nei punti più inaccessibili con delle corde e scavavano la roccia (forse utilizzando anche l’azione del fuoco e dell’acqua), creando delle camere, generalmente a pianta ellittica, deponendovi poi i cadaveri, avvolti in teli, in posizione fetale. L’inumazione della salma era sempre accompagnata da un corredo funebre, che simboleggiava tutto ciò che sarebbe servito al caro estinto nell’aldilà (vasi con scorte di cibo e acqua, rasoi, pugnali, armi, oggetti ornamentali). Il sepolcro veniva poi sigillato con sassi oppure con grosse lastre di pietra.