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Pantalica

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© Ph. S.K.

Pantalica, l'archeologia

 
Chi oggi si avventura nel ripercorrere i sentieri che costeggiano il lungo canyon scavato dai fiumi Anapo e Calcinara, si immerge in una natura selvaggia e incontaminata che sembra quasi proiettarlo indietro nel tempo, immedesimandosi negli antichi abitanti di questi luoghi.
I percorsi che si dipartono dai comuni di Sortino e di Ferla presentano due volti: uno più selvaggio, autentico, immerso totalmente nella natura, l’altro che ripercorre l'antico tracciato ferroviario che ha ulteriormente “forato” e trasformato la montagna per favorire trasporti e comunicazioni.
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Il visitatore, durante la sua passeggiata, rimane estasiato nell’ascoltare, in sottofondo, il rumore cristallino delle acque dei fiumi, più tranquille e fresche d’estate, impetuose e gelate d’inverno; percepisce la vita rigogliosa delle piante e degli arbusti, che si sviluppano lungo i pendii, e degli animali che si nascondono fra essi. Rimane affascinato dall’imponente opera dell’uomo che più di tremila anni fa ha plasmato la roccia per costruire l’ultima sua abitazione terrena: le pareti di calcare sembrano un enorme alveare a strapiombo sulle “cave”, parola che nel territorio ibleo identifica i canyon che lo solcano. Oltre 5000 tombe a grotticella artificiale si affacciano dalle pareti rocciose, spesso in punti inaccessibili, aperte come silenziosi occhi sull’incomparabile bellezza della lussureggiante vegetazione che popola il fondo delle strette valli fluviali.
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"Oltre 5000 tombe a grotticella artificiale si affacciano dalle pareti rocciose, spesso in punti inaccessibili, aperte come silenziosi occhi."

 
Esse raccontano al viaggiatore la storia di un popolo, identificato dal grande archeologo Paolo Orsi nei Siculi della tradizione storica, avvolta in parte nel mistero: nonostante le numerose campagne di ricerca dello stesso Orsi, tra il 1895 e il 1910, e dell’altro grande archeologo Luigi Bernabò Brea, tra il 1962 e il 1971, non è stato possibile identificare l’abitato connesso alla necropoli, salvo quelli che sembrano essere i resti di un palazzo reale, il cosiddetto Anaktoron. Probabile centro politico ed economico dell’abitato, al suo interno Orsi rinvenne alcune forme in arenaria per la fusione del metallo, privilegio che probabilmente spettava solo agli uomini di potere.
La costruzione dei sepolcri, scavati nella roccia viva, era certamente un’impresa ardua, non priva di pericoli. Secondo Orsi, i Siculi si facevano calare nei punti più inaccessibili con delle corde e scavavano la roccia (forse utilizzando anche l’azione del fuoco e dell’acqua), creando delle camere, generalmente a pianta ellittica, deponendovi poi i cadaveri, avvolti in teli, in posizione fetale. L’inumazione della salma era sempre accompagnata da un corredo funebre, che simboleggiava tutto ciò che sarebbe servito al caro estinto nell’aldilà (vasi con scorte di cibo e acqua, rasoi, pugnali, armi, oggetti ornamentali). Il sepolcro veniva poi sigillato con sassi oppure con grosse lastre di pietra.
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Sono proprio gli oggetti che accompagnavano i defunti nel loro viaggio verso il mondo ultraterreno, a raccontare al viaggiatore attento degli abitanti di Pantalica: manufatti in bronzo come specchi, fibule e monili, vasi su alto piede e pettini in osso ci parlano, nelle sale del Museo Archeologico Paolo Orsi di Siracusa ad essi dedicate, di uomini e donne vissute migliaia di anni fa e della loro vita quotidiana.
 
Pantalica fu forse la sede del saggio e potente re Hyblon, il cui regno, secondo la tradizione tramandataci dallo storico Diodoro Siculo, si estendeva per tutto l’altopiano ibleo, dal monte Lauro alla costa fra Augusta e Siracusa. A lui si rivolsero i coloni Megaresi, guidati da Lamis, alla ricerca di un lembo di terra dove fondare la loro città, richiesta che il magnanimo re accolse e per questo, in segno di riconoscenza, li spinse a fonderne per sempre il nome con quello della nascente polis: Megara Hyblaea.
Furono tuttavia proprio coloni provenienti dalla Grecia, più esattamente i Corinzi che, guidati da Archia, avevano già fondato Siracusa e iniziavano ad espandersi sulla costa orientale e verso l’interno della Sicilia a determinare il tramonto della civiltà che per sette secoli aveva occupato Pantalica, in un periodo compreso verosimilmente tra il 733 e il 664 a C. Lo scontro, che probabilmente conobbe episodi cruenti si risolse con la sconfitta dei Siculi e con l’abbandono del sito che verrà ripopolato molti secoli dopo, in epoca bizantina, quando le antiche tombe divennero rifugio dalle scorrerie dei pirati saraceni portando alla formazione di piccoli villaggi rupestri corredati di oratori sulle cui pareti restano labili tracce di affreschi.
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Sito di straordinario fascino e di grande importanza dal punto di vista archeologico, la necropoli di Pantalica è stata inserita, nel 2005, nella World Heritage List dell’Unesco entrando a far parte, insieme a Siracusa a cui è legata territorialmente e storicamente, del patrimonio dell’umanità: per gli appassionati di un viaggio a ritroso nel tempo; per gli amanti della natura, un’occasione per scoprire un luogo montano, selvaggio e quasi incontaminato, a pochi chilometri dalla costa siracusana.
Novembre 2020
 
NICOLETTA LONGO

Dopo gli studi e una breve ma intensa esperienza nel campo dell’Archeologia, la sua carriera professionale si è orientata all’insegnamento. Oltre alla passione per la musica e per il fumetto, in lei l’amore per l’archeologia, l’arte e il territorio non è mai tramontato e, attualmente, dedica il suo tempo libero all’associazionismo culturale e scrivendo per SiracusaCulture.
 
Pantalica 1
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